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Alzheimer: paesi UE non sono pronti, diagnosi e cure a rischio

Neurologia Redazione DottNet | 01/10/2018 21:26

Mancano sia medici sia facilities adeguate per rendere possibile la diagnosi precoce

L'Europa è impreparata ad affrontare e gestire lo 'tsunami demenze' che colpirà duramente tutti i Paesi ricchi con un raddoppio dei casi previsto entro il 2050: almeno un milione di individui potrebbe restare senza accesso a eventuali nuove cure, perché mancano sia medici sia strutture adeguate per la diagnosi precoce e per somministrare tempestivamente un'eventuale terapia a quanti potrebbero beneficiarne. Lo suggerisce l'analisi condotta (su Svezia, Germania, Regno Unito, Spagna, Francia e Italia) dalla RAND Corporation, una no profit che fa ricerca in ambito sanitario. "Anche se non vi è la certezza che una terapia per l'Alzheimer sia approvata a breve - spiega Jodi Liu, coordinatore del lavoro - il nostro studio suggerisce che i sistemi sanitari dell'Unione Europea dovrebbero cominciare a pensare a come rispondere a una simile eventualità".

"L'ipotetico arrivo di un possibile farmaco per l'Alzheimer è da una parte una speranza, dall'altra una potenziale problematicità per i servizi sanitari di tutti i Paesi avanzati", spiega all'ANSA Paolo Maria Rossini, direttore dell'Area di Neuroscienze del Policlinico Gemelli IRCCS di Roma.  "I motivi sono molteplici - aggiunge - e non riguardano solo la scarsità dei medici in grado di fare una diagnosi di malattia, ma anche il modello organizzativo reale per la diagnosi, mai validato a livello internazionale né condiviso tra gli esperti che ruotano attorno alla malattia 'demenza'". L'analisi si basa su uno scenario ipotetico in cui una terapia viene approvata per uso clinico nel 2020, scenario in cui nei sei Paesi circa 7,1 milioni di individui con declino cognitivo lieve si attiverebbero per cercare una diagnosi precoce e a 2,3 milioni di loro potrebbe essere raccomandato il farmaco. Gli esperti stimano ritardi da parte dei sistemi sanitari studiati da un minimo di 5 mesi per avere la terapia in Germania a un massimo di 19 solo per la valutazione del paziente in Francia. Per azzerare le liste d'attesa si dovrebbe aspettare il 2030 in Germania, il 2033 in Francia, il 2036 in Svezia, il 2040 in Italia, il 2042 in Gran Bretagna e il 2044 in Spagna.

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Il problema, spiega Rossini, è che probabilmente le future medicine si dovranno rivolgere non ai pazienti con demenza già clinicamente evidente ma a quella forma iniziale di malattiadefinita 'Mild Cognitive Impairment (MCI) prodromal to Alzheimer's Disease'; "si tratta - precisa - di una lievissima alterazione delle funzioni cognitive che non ancora configura una demenza, presente in persone perfettamente performanti e normali nella loro vita quotidiana professionale e relazionale. Chi si trova in questa condizione (in Italia oltre 700.000) ha un rischio molto elevato di demenza (oltre metà delle persone con declino in circa 3-5 anni si ammala di demenza, circa la metà di Alzheimer, il resto di altre forme di malattia)". A chi di loro dare, quindi, un eventuale farmaco? "Non lo si potrà fornire a tutti in modo indiscriminato sia per i costi di tale terapia, sia per gli effetti collaterali non trascurabili", spiega Rossini, per cui sarà fondamentale disporre di test diagnostici predittivi della malattia molto accurati. "L'Italia - conclude Rossini - è il primo paese che ha da poco lanciato un progetto di ricerca - INTERCEPTOR - per sviluppare uno o più test predittivi: il progetto prevede l'arruolamento di 500 soggetti con declino cognitivo lieve e cercherà anche di stabilire quali di questi test rappresenteranno la soluzione più facile ed economica che il SSN italiano dovrà adottare su tutto il territorio nazionale"

fonte: ansa

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